Cosa si fa durante l’anno di servizio civile per Liberazione e speranza? Abbiamo pensato di raccontarvelo con un’intervista a una delle nostre volontarie del servizio civile che ci aiuta nella sede di Novara: Michela. Ha 20 anni, ha terminato l’Istituto Professionale Socio-Sanitario ‘Ravizza’ di Novara ed è arrivata da noi a marzo 2019.
Prima di terminare le superiori delle ragazze sono venute a scuola per presentare agli studenti l’opportunità del servizio civile e tra le sedi che ci hanno proposto c’era anche Liberazione e Speranza.
L’esperienza del servizio civile, come anno di lavoro in attesa di entrare all’università, mi è sembrato subito una buona idea. La scelta poi su Liberazione e Speranza è stata dettata dall’istinto. Infatti durante gli anni scolastici ho fatto diverse esperienze lavorative sia come stage che come alternanza scuola-lavoro. Tutte però nell’ambito sanitario, tipo in ospedale, e sociale, come ad esempio in scuole o asili nido. Non ero mai entrata in contatto con realtà legate al mondo dell’immigrazione, della tratta o della violenza. Questo mondo era per me sconosciuto, ma allo stesso tempo mi incuriosiva molto.
All’inizio ho fatto diverse ore di formazione specifica (e ne ho ancora da fare) insieme alle operatrici Paola, Erika e Fatima, a Comfort, la mediatrice, ed Elena, l’educatrice. Mi hanno aiutato ad approfondire e conoscere meglio come Liberazione e speranza offre sostegno alle donne, vittime delle tratta, che cercano di liberarsi dalla sfruttamento.
Poi ho iniziato a occuparmi di alcune di loro che vivono nella casa di accoglienza gestita da Liberazione e speranza. Sono prevalentemente ragazze nigeriane, molto giovani, con un passato di grave sfruttamento sessuale.
Insieme facciamo laboratori di cucina, canto, conversazione in inglese, ma l’obiettivo non è il cosa fare ma creare una rapporto di fiducia ed empatia tra me e loro. Purtroppo non è semplice. Anche se spesso sono sorridenti, basta poco per metterle sulla difensiva. Tendono a chiudersi facilmente e a prendere le distanze. Ci vuole tanta pazienza e tempo prima di riuscire a creare un legame con loro.
Mi piace ascoltare le storie di queste ragazze, i loro vissuti, le cause che le hanno spinte a lasciare la loro terra, la loro famiglia, gli amici. Sono storie di sofferenza e povertà. Sono rimasta colpita dalla loro cultura e dal loro modo di pensare. Nonostante tutto non perdono mai l’allegria e sono pronte a raccontarti anche i loro sogni futuri.
Allo stesso tempo sento di essere cambiata io grazie a loro. Come ho già detto l’approccio con loro non è affatto semplice, alcune si chiudono e sono determinate nel loro silenzio. All’inizio ci rimanevo molto male, poi ho cominciato ad imparare che ero io a sbagliare e dovevo cambiare il mio modo di rapportarmi.
A breve dovrò fare il test per entrare all’università di Milano. Vorrei iscrivermi in Scienze dell’educazione per diventare un’educatrice professionale. Il mio sogno nel cassetto è lavorare in una comunità di recupero o un centro di salute mentale. Comunque spero di riuscire a concludere il mio anno di servizio civile in Liberazione e Speranza, ci tengo molto a quest’esperienza e soprattutto alle ragazze che ho conosciuto. Lavorare nel sociale non è semplice, perché davanti a te non hai un computer, ma persone in carne e ossa, con un cuore e un’anima che spesso soffrono e contano su di te per riuscire a rialzarsi .
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