Dall’anno 2000 a Novara opera un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale, denominata “Liberazione e speranza”, che attua, per conto della Provincia, programmi di assistenza e protezione sociale a favore di donne che si sottraggono alla violenza e ai condizionamenti delle organizzazioni criminali dedite allo sfruttamento della prostituzione e alla tratta di esseri umani.
Grazie ai progetti, promossi fino al 2008 dalla Provincia di Novara e dal 2009 dalla Regione Piemonte, nel nostro territorio provinciale è stato possibile restituire dignità e autodeterminazione a circa 650 giovani donne di 25 diverse nazionalità.
Ci siamo chiesti in più occasioni se esistono delle parole per esprimere efficacemente il dramma umano e sociale della tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale.
Ci sembra di poter dire che tre sono le parole in grado di far capire che cos’è oggi, nell’era della globalizzazione, questa nuova ed inquietante forma di violazione dei diritti umani.
La prima parola inizia con la lettera O: O come ORRORE. Orrore per come le ragazze vengono trasferite in Italia, dopo essere state reclutate con inganno nei loro paesi d’origine. Orrore per come le ragazze vengono trattate per creare e mantenere una loro totale dipendenza dalle organizzazioni criminali. Orrore per il tipo di vita che le ragazze sono costrette a condurre fino al momento in cui potranno affrancarsi dalla stato di schiavitù, dopo aver versato – è il caso delle donne nigeriane – alle loro madam fino a 70/80 mila euro. Orrore per come sono irretite dai loro sfruttatori fino ad acquisirne la padronanza assoluta sul loro corpo. Orrore per come sono costrette a trasferirsi da un luogo all’altro senza alcun riguardo della loro volontà. Orrore per lo stato di totale asservimento in cui sono tenute; per i maltrattamenti, le brutalità e le sevizie cui vengono sottoposte al primo cenno di ribellione. Orrore per la malvagità e la spietatezza con le quali vengono trattate: malvagità e spietatezza senza limiti che spesso finiscono con l’intaccare gravemente il loro equilibrio psichico provocando catastrofe emotiva e depressione. Albanesi, moldave, russe, rumene, ungheresi, bulgare, kosovare, ucraine, nigeriane, brasiliane, cinesi, tailandesi…: sempre più giovani, non di rado poco più che bambine!
Cedute a poco prezzo nei paesi d’origine da famiglie affamate o rapite da bande di criminali o ingannate addirittura da sorelle/sorellastre, facilmente sedotte dall’idea di arrivare in un paese ricco e moderno dove chiunque può trovare un lavoro con un po’ di abilità e fortuna. Buttate sulle nostre coste da scafisti senza scrupoli, costrette ad attraversare il deserto del Sahara con mezzi di fortuna, rischiando per settimane e settimane la vita per stenti e siccità. E poi violentate, stuprate, seviziate, torturate, iniziate al sesso mercenario in veri e propri lager, dove si tiene rigorosamente conto dei gusti e delle aspettative dei clienti italiani. Hanno storie di orrore alle spalle le ragazzine che, sulle nostre strade, giorno e notte, si offrono ai loro clienti che arrivano puntuali.
La seconda parola non è molto conosciuta. Sempre più spesso viene utilizzata sia in ambito giuridico, che filosofico, sociologico ed etico. Questa terza parola inizia con la lettera R: R come REIFICAZIONE. E’ un termine che deriva dal sostantivo latino “res” (che vuol dire “cosa”) e dal verbo latino “facere” (che vuol dire “fare”). Reificazione vuol dire ridurre tutto a merce: ridurre tutto a “cosa”, a “oggetto”. Reificazione significa privare la donna della propria inviolabile dignità e considerarla alla stregua di “res”; di “oggetto usa e getta”; di “merce” comprabile e vendibile, interscambiabile e sostituibile; di “mezzo” per ottenere il soddisfacimento di propri bisogni. Reificazione significa rapportarsi con le persone, come se fossero oggetti sui quali si possono esercitare gli attributi del diritto di proprietà. La forma estrema di reificazione delle persone si ha proprio nella schiavitù. Nella schiavitù sessuale i corpi diventano merce: né più né meno.
Quali le cause che sono all’origine della reificazione ? Certamente la povertà dei paesi dai quali provengono le vittime, certamente l’ingente richiesta di prostituzione da parte dei clienti, certamente il basso rischio per i trafficanti di essere penalmente perseguiti e condannati, certamente il ruolo della criminalità organizzata, certamente la carenza di strategie adeguate per prevenire e contrastare efficacemente il fenomeno da parte degli Stati… Tuttavia crediamo fermamente che all’origine di questa forma di disumanizzazione ci sia un devastante atteggiamento culturale: il ritenere che esista un “diritto” maschiocentrico di comprare tutto ciò che si vuole per soddisfare i propri istinti e i propri bisogni, accettando la logica perversa del “si sa che i maschi sono maschi”, del “fare ciò che si vuole con chi ci sta” o, ancora, del “fenomeno che nessuno mai riuscirà a debellare”. Sono gli uomini (maschi) e la loro domanda di sesso mercenario a costituire il problema principale. La sfida più urgente, allora, è quella di cambiare mentalità nei confronti della richiesta di sesso a pagamento. Soprattutto quando ad “usare” donne tenute in condizioni di vergognosa schiavitù sono clienti che, in preda ad una sorta di processo di feticizzazione del proprio desiderio, non si interrogano mai sulla provenienza dell’oggetto del piacere.
Ed ecco allora la terza parola che, in contesti come questo, non può mancare. Inizia con la lettera C: C come CLIENTE. Per parlare del cliente bisogna partire da una constatazione di fatto: “Tutti si stupiscono che una donna si venda, nessuno che un uomo la compri”. Ma sulla figura del cliente vorremmo fare una considerazione di ordine non strettamente etico, ma di tipo più giuridico. Tutti sappiamo che il nostro diritto penale prevede e punisce severamente il reato di ricettazione (art. 648 c.p.), il reato di incauto acquisto di cose. Il diritto penale, ad esempio, colpisce 1’acquisto di sigarette di contrabbando. Chi acquista una candelabro di dubbia provenienza potrebbe essere colpito da una sanzione per incauto acquisto. Chi, cioè, acquista o riceve a qualsiasi titolo, senza averne prima accertata la legittima provenienza, oggetti, i quali per la loro qualità o per la condizione della persona che li offre, o per il prezzo si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è punito severamente dalla legge penale (rischia fino a otto anni di reclusione ed una multa che può arrivare fino a 10.329 euro).
Come mai invece il nostro diritto, le nostre leggi non colpiscono con altrettanta incisività l’incauto acquisto del corpo delle persone, l’incauto acquisto della sessualità, l’incauto acquisto della vita delle persone ? Come mai c’e questa complicità goliardica nei confronti del fenomeno del sesso in acquisto ? Perchè questa tolleranza diffusa della mercificazione del sesso, motivata da considerazioni del tipo “c ‘è sempre stata e sempre ci sarà”, “sarebbe peggio reprimerla”…?
Non siamo moraliste: ci riesce male un ruolo del genere. Non siamo neanche esperte di diritto penale. Diciamo solo che questo dilemma dovrebbe farci tutti pensare. Le nostre leggi tutelano più le cose che le persone: tutelano più l’incauto acquisto di cose rubate che l’incauto acquisto del corpo delle persone. Tutelano di più contro la ricettazione di cose rubate che contro la ricettazione di corpi rubati. E’ una riflessione che tutti, prima o poi, dobbiamo fare e chiederci, ad esempio, se non sia giunto davvero il momento di criminalizzare la figura del cliente ovvero recepire quanto previsto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, ratificata dall’Italia con legge 2 luglio 2010 n. 108, adottando e rafforzando efficaci misure legislative, amministrative, educative, sociali e culturali dirette ad individuare la domanda come una delle cause profonde della tratta di esseri umani!